Suicidio assistito: il riconoscimento giuridico esterno al parlamento

Suicidio assistito: il riconoscimento giuridico esterno al parlamento

7 Ottobre 2019

In attesa del Parlamento. Sono le prime parole a leggersi all’interno della comunicazione dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale. “La consulta si pronuncia sul fine vita” continua l’intestazione del documento che precede la sentenza. Una ventina di righe che sintetizzano in modo chiaro l’esito del processo a carico di Marco Cappato in seguito alla morte assistita di Dj Fabo: l’imputato sarà assolto, il suicidio assistito rientra tra i processi di autodeterminazione della persona e di conseguenza, in specifici casi, l’aiuto non si identifica come reato.

La Consulta chiede e attende l’intervento del legislatore già da un anno, da quando sospese il giudizio di costituzionalità sull’art. 580 del codice penale in relazione allo stesso caso per il quale ora si è espressa. “La Corte Costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti” con queste parole, il 24 Ottobre del 2018, chiese al Parlamento di lavorare ad una legge affinché l’ordinamento italiano riconoscesse alle persone gravemente malate, le cui condizioni di salute non consentono di andare incontro ad una guarigione, di scegliere di porre fine alle sofferenze cui sono soggette.

Dopo un anno, nel pieno silenzio del Parlamento e delle forze politiche di governo, la Consulta, il 24 Settembre del 2019, si pronuncia sul fine vita. “La Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’art. 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

L’articolo in questione, più volte menzionato, recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito al suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni” e di fatto punisce chiunque inciti una persona a ricorrere al suicidio. La disposizione, trovando piena compatibilità con la Costituzione che considera la vita come un valore cardine della Repubblica, si scontra con la lacuna legislativa, sul tema del fine vita, che ha obbligato Marco Cappato ad autodenunciarsi quando nel 2017 ha accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani (Dj Fabo) per ricorrere al suicidio assistito all’interno di una struttura specializzata.

La Corte ha riconosciuto una libertà. Quella di autodeterminazione della persona anche nei casi di gravi condizioni fisiche, di poter liberamente rifiutare le cure mediche e scegliere fino a che punto aggrapparsi alla medicina. Lo ha fatto anche in relazione alla legge n.219 del 2017 che nel nostro sistema ha introdotto il biotestamento e che al suo interno ha inserito indicazioni preziose sul consenso informato. Il fine vita è un tema che si ramifica  in più strade a seconda delle diverse esigenze ed è solo la compresenza di tutte queste a consentire una libera scelta e una piena autodeterminazione. Tra queste rientrano la terapia del dolore e le cure palliative che attraverso la continua somministrazione di farmaci mirano a ridurre le sofferenze fisiche. Anche in questo caso, le terapie subentrano soltanto quando si tratta di una situazione medica irreversibile che provoca intensi dolori. Accanto alla possibilità di ricorrere a queste cure, serve anche quella di potervi sottrarre e scegliere altro. 

Il suicidio assistito si sostanzia in una struttura che esamina le condizioni di salute, la capacità di intendere e di volere, indispensabili per la determinazione di una libera volontà, e nell’organizzazione della procedura che consentirà al paziente, attraverso l’azionamento di un tasto, di far circolare il veleno nel corpo. Tutto questo in Italia non è permesso. E Dj Fabo è stato costretto ad arrivare in Svizzera per vedergli riconosciuto un diritto qui negato. La libera e consapevole decisione e la presenza di condizioni gravi di salute irreversibili che determinano continue sofferenze sono gli elementi chiave attorno ai quali ruota la realizzazione del suicidio assistito e che la Corte Costituzionale ha riconosciuto.

Una legge, come ha anche ricordato la Consulta, serve. Il riconoscimento normativo del diritto è indispensabile per colmare il vuoto legislativo a cui la stessa Corte ha fatto riferimento. Ma soprattutto serve per disciplinare la materia. Non basta che la Corte Costituzionale dica che l’assistenza a morire (nei soli casi di cui si è parlato sopra) non intacchi i valori costituzionali. È necessario dare alla persona che sceglie di accedere al suicidio assistito tutti i mezzi necessari affinché il suo diritto trovi attuazione. Una legge serve dunque per concretizzare e rendere attuativo tale processo. Determinare in quali casi il suicidio assistito può essere ammesso, in che modo sarà esaminata la volontà, quali istituti potranno detenere la competenza dell’operazione. Non si tratta di specificare soltanto se sia o meno legale assistere il suicidio di persone gravemente malate e soggette a continue sofferenze. Ma mettere in campo l’organizzazione necessaria al fine di rendere effettiva tale possibilità. Con le sue limitazioni e precisazioni che sempre il Parlamento dovrebbe determinare, proprio attraverso la discussione e il confronto delle varie forze politiche.

Due anni fa, in seguito all’approvazione della legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, sembrava che l’Italia fosse finalmente pronta ad affrontare il tema del fine vita nella sua interezza. E invece fa ancora tanta fatica. Nonostante l’attenzione sul tema mostrata dalla Corte Costituzionale e la formale sollecitazione nei confronti del Parlamento, nulla si è mosso per 11 mesi. E nulla sembra muoversi oggi. Da parte delle maggiori forze politiche si registra una sistematica chiusura sul tema. Forse per via dell’interesse che la Chiesa Cattolica ha mostrato sul tema (“Vivere è un dovere anche per chi è malato e sofferente” ha detto il cardinale Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana) e a cui forse sono sensibili i politici ma, se così fosse, si registrerebbe l’ennesimo errore di valutazione sul tema del fine vita: quello che vuole considerare il suicidio assistito e l’eutanasia come l’espressione di un sentimento irrispettoso nei confronti della vita. Quando è invece l’esatto opposto: se lo Stato riconosce, come principio cardine del suo agire, il rispetto della vita e delle persone, permettendo a queste di ricevere un’istruzione, cure mediche e di contribuire allo sviluppo della società secondo le proprie inclinazioni, deve anche lasciarle libere di non accettare passivamente condizioni fisiche gravi che le costringono a continue sofferenze. Lavorare alla realizzazione dell’assetto completo del tema del fine vita garantirà proprio questo: di rispettare e onorare la vita umana, fino alla fine.