Io non resto (più) a casa

Io non resto (più) a casa

4 Luglio 2020

“Resta a casa” è l’imperativo che ha unito sotto di sé diverse nazionalità ed etnie. Un monito che ha accompagnato la vita di tutti. Un piccolo sacrificio, com’è stato definito da molti, in confronto a coloro che si sono ritrovati a combattere con tutte le loro energie nelle corsie degli ospedali. Uno sforzo, chiesto a tutte le persone non impiegate nei servizi sanitari, che in alcuni paesi ha portato come conseguenza diretta il verificarsi di proteste contro quella che è stata vista, a tutti gli effetti, come una privazione delle libertà. Manifestazioni che hanno coinvolto l’Europa ed altri paesi esteri.


Stati Uniti. Il primo paese in cui sono state organizzate manifestazioni nel cuore della quarantena. La prima di una lunga serie di proteste contro le misure di contenimento che si sono successivamente diffuse in altri paesi. Le manifestazioni verificatesi negli USA rientrano tra quelle che hanno destato più preoccupazione in assoluto, considerato l’eterno pomo della discordia tra il diritto o meno a possedere un’arma, a cui l’attuale presidente Trump si dice favorevole. Nelle proteste organizzate in almeno la metà dei 50 Stati erano presenti fucili d’assalto ed altri tipi di arma, creando momenti di tensione. E come se questo non fosse sufficiente, il 45° presidente, ha incitato le rivolte tramite il social Twitter. «Liberate il Michigan, Liberate la Virginia, Liberate il Minnesota».


Regno Unito. È inizio maggio quando le prime proteste iniziano ad insorgere nel Regno Unito, condannando la circostanza di non aver mai avuto prova dell’esistenza del virus e collegando quest’ultimo alle onde del 5G. Piccole manifestazioni che la polizia, almeno per il momento, è riuscita a placare senza che la situazione degenerasse. Il principale timore è che queste mini-rivolte riescano a far crescere il numero di coloro che si dichiarano contro ogni tipo di vaccino.


Francia. In Francia, neanche l’inizio del periodo più critico dell’emergenza ha impedito il raduno di puffi. L’evento ha raccolto all’incirca 3500 persone, tutte rigorosamente con cappello bianco e il corpo dipinto di blu. Una manifestazione che è stata anche occasione per lanciare una sorta di sfida verso la pandemia. “Pufferemo il coronavirus”, ha infatti dichiarato uno dei partecipanti.

Germania. A Stoccarda, capitale dello stato di Baden-Württemberg nel Sud-ovest della Germania, sono oltre 10.000 le persone che hanno deciso di scendere in piazza. “Persone normali che si assumono le proprie responsabilità, che sono sempre stati dei cittadini emancipati.” come ha dichiarato uno dei manifestanti presenti. Tra di loro anziani, bambini ed intere famiglie, tutti desiderosi di mostrare il proprio dissenso nei confronti delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria.

Polonia. Una delle proteste in cui si è verificato un intervento maggiore da parte delle forze dell’ordine è stata quella organizzata a Varsavia, dove sono stati arrestati 38 imprenditori tra i manifestanti che hanno raggiunto la capitale da tutto il Paese chiedendo di eliminare le restrizioni introdotte e di ricevere aiuti più concreti per le piccole imprese.


Serbia. Sebbene il governo serbo abbia annunciato l’allentamento delle misure restrittive adottate per fronteggiare il coronavirus, i cittadini del Paese hanno continuato a protestare per più sere consecutive dal 26 aprile. Il Presidente, Aleksandar Vucic, dopo pochi giorni dall’inizio delle proteste ha anticipato la decisione del Parlamento in merito all’abbandono del coprifuoco del fine settimana entrata successivamente in vigore dal 7 maggio, proclamando la fine dello stato d’emergenza.


Olanda. Paese in cui si è verificato il numero di arresti più alto. Circa 80 persone sono state arrestate nell’Aia davanti alla sede del governo in seguito a proteste contro il lockdown. Anche nella provincia di Utrecht si sono svolte delle manifestazioni, in una delle quali centinaia di persone si sono radunate per suonare il clacson della propria auto.

Svizzera. In Svizzera le proteste si sono incentrate soprattutto davanti al Parlamento a Berna, nonostante le restrizioni siano state già allentate da inizio maggio. Le manifestazioni hanno coinvolto anche altre città svizzere, come Zurigo e Basilea.


Australia. I cittadini australiani sono scesi in strada a Melbourne e a Sydney per protestare contro le misure di auto confinamento, distanziamento sociale e controllo con l’app di tracciamento. Il numero dei manifestanti australiani è piuttosto basso, tra questi alcuni hanno inneggiato contro Bill Gates, i vaccini e la teoria del complotto, secondo la quale il coronavirus sarebbe un’invenzione dei globalisti.


Brasile
. Una storia simile a quella degli Stati Uniti è accaduta in Brasile, dove il presidente brasiliano Jair Bolsonaro si è schierato a favore delle proteste seguendo le orme di Donald Trump. Bolsonaro non si è limitato solamente a dichiararsi favorevole attraverso uno schermo, ma ha preso parte fisicamente ed attivamente alle proteste. Il suo slogan, dall’inizio dell’emergenza, è sempre lo stesso: “Il Brasile non può fermarsi”. Una frase che non ha avuto l’appoggio dei governatori che hanno deciso di adottare misure restrittive per il contenimento e di distanziamento sociale.


India. Le proteste hanno avuto inizio il 24 marzo, giorno in cui è stato imposto il lockdown e la chiusura delle fabbriche. Uno dei principali motivi per cui sono state organizzate è la richiesta, da parte dei migranti lavoratori, di poter rientrare nei loro paesi. Nello Stato del Gujarat circa 500 persone si sono scontrate con la polizia, chiedendo alle autorità di tornare nello Uttar Pradesh e nello Bihar.

Annaclaudia D’Errico

Speciale tratto dal bollettino informativo “Prova da sforzo“.