Cronaca nera: tra Tony Carogna e il voujerismo necrofilo

Cronaca nera: tra Tony Carogna e il voujerismo necrofilo

12 Dicembre 2014

Nella deriva dell’informazione, la degenerazione della cronaca nera assume contorni di una triste spettacolarizzazione del dolore: per concentrare al meglio la nostra analisi, partiamo da un soggetto fittizio, conosciuto ai più come: Tony Carogna, inizialmente Neri Pupazzo in Unreal Tg.

Tony Carogna personaggio interpretato dal comico abruzzese Marcello Macchia, noto come Maccio Cappatonda, è un inviato del Tg Mario. Il suddetto Tony si occupa di cronaca nera, facendo servizi e trovandosi sulla scena del misfatto; la comicità giostra tra queste assurde storie tragiche e su le personalità degli intervistati: tra le banalità dei ricordi degli amici, alle varie chiavi di lettura dei testimoni, per finire sempre con le fatidiche domande ai familiari. Una scena rimasta impressa è quella, proposta in Unreal Tg, dove chiede alla madre quali emozioni la pervadono dopo il grave lutto: “sconforto, dolore, invidia, un pizzico di malizia?” alla mancata risposta della stessa, Tony gira la domanda ai telespettatori a cui dopo la risposta, verrà dato in omaggio una “simpatica suoneria”.

In fondo ciò che diventa satira è sempre ciò che convive dentro la nostra società: se accendiamo la tv, o navighiamo su internet, il sensazionalismo di Tony Carogna non è così lontano.

L’ultimo caso di cronaca è Loris, lo è stato quello di Yara o in genesi lo furono Samuel nel delitto di Cogne, o il piccolo Tommy; potrei farvi un elenco ma non servirebbe, ciò che fa paura è che la vittima poi diventa pian piano che la storia prende visibilità, un contorno della vicenda stessa. Può sembrare contradditorio, ma la vittima diventa secondaria, così come secondaria è la logica di riflessione su come tali vicende siano sempre più frequenti, o come si possa frenarle: ciò che conta è una lettura a reality della vicenda. Un Truman Show del dolore.

C’è bisogno di tesserne una storia: la vittima deve accedere sul piccolo schermo familiare, su cui la morbosità di chi ne parla, e la sete dei telespettatori, porta a divorare ogni particolare su come quel corpo possa essere stato divorato, distrutto, martoriato; il caso filtra in altri mass-media diventa interattivo: da scoop della rete, in cui quei particolari vengono promessi nella visione crudele in forma di video, in forma di esclusiva cartacea: interviste, immagini, prove scottanti da vendere sui rotocalchi da gossip. Qui la faccenda assume un tono ancor più grave; sul web questo gioco al limite dell’horror viene posto anche dai maggiori quotidiani che con l’utilizzo dei click, delle visualizzazioni, ancor di più creano notizie e flash da “take-away”: accessibili e sensazionali. Il livello inevitabilmente si fa basso e squallido. Questa aspirale di sangue poi segue la stucchevole compassione e fiumi di lacrime nell’ascolto dei parenti delle vittime: vederne la sofferenza, poterne costatare il dolore, fino all’ultima traccia di pudore che davanti a ciò si annulla: i talk show pomeridiani come Pomeriggio Cinque sono dei punti di riferimento. Lasciatemi coniare, dunque, un termine per concepire il tutto: vojeurismo necrofilo. Lo stesso che porta le persone a visitare posti di respiro “cronachistico”: come Avetrana, farsi le foto con infradito e occhiali da sole, con dietro la Costa Concordia all’Isola del Giglio. Questo respiro trova sfogo nel mettere alla gogna mediatica il colpevole: poi poco interessa il processo come verte, ciò che conta è dare fine e senso al processo virtuale. Così da rendere la coscienza sollevata.

Tutto ciò si ripeterà ad ogni fatto di cronaca, ritrovandoci a rimpiangere i “filmaggini” di Tony Carogna: consci di come la realtà abbia superato ogni finzione.

Gian Luca Sapere