Amazzonia: la foresta quasi perduta

Amazzonia: la foresta quasi perduta

19 Luglio 2019

La deforestazione potrebbe causare un cambiamento climatico che, associato al surriscaldamento globale, trasformerebbe metà della superficie dell’Amazzonia in una prateria degradata.” Con queste parole, nel 2018 Carlos Nobre, scienziato e ricercatore, vincitore del premio Nobel per la Pace, in un’intervista descrive il progredire del disboscamento della foresta amazzonica che continua a crescere dagli anni ’40. Secondo la maggioranza degli scienziati il continuo della deforestazione porterebbe il mondo a subire quello che hanno soprannominato “baratro climatico”. Il dato peggiore degli ultimi dieci anni è stato registrato pochi mesi fa, a fine maggio, quando l’Agenzia di ricerca spaziale brasiliana ha reso noto che 739 chilometri quadrati di foresta pluviale sono andati persi. Con questo ritmo sicuramente si batterà il record raggiunto nel 2018, anno in cui in solo 7 mesi un’area grande quanto metà della Giamaica (7.900 chilometri quadrati) è stata disboscata, aumentando il trend del 13.7% rispetto al 2017. Le maggiori cause del disboscamento sono il settore dell’allevamento e lo sfruttamento del territorio per fini agricoli, minerari o legati al mercato del legname.

La situazione sarebbe peggiorata anche per via dell’insediamento del presidente, rappresentante dell’ala destra del parlamento brasiliano, Jair Bolsonaro a gennaio di quest’anno. Già l’anno scorso, l’Osservatorio sul clima del Brasile e Marcio Astrini, portavoce dell’ufficio locale di Greenpeace, avevamo fatto presente le loro preoccupazione riguardanti il disboscamento illegale e l’intenzione di Bolsonaro a mettere in prima linea gli interessi commerciali. Timori più che legittimi, dato che Bolsonaro già in campagna elettorale aveva promesso di contenere le multe ambientali introdotte dall’agenzia Ibama (Istituto dell’Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili) per far rispettare i propri regolamenti e prima dell’insediamento aveva prospettato l’ipotesi, al momento scongiurata, di ritirare il Brasile dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Infatti il nuovo governo non ha perso tempo e a marzo l’Ibama è stata costretta ad interrompere i rapporti con la stampa, secondo quanto riportato da fonti internazionali, l’agenzia avrebbe ricevuto ordine dall’esecutivo del presidente Bolsonaro di non rispondere alle richieste dei media. Secondo le sigle ambientaliste presenti nel Paese sudamericano potrebbe trattarsi di un tentativo di far scivolare le tematiche ambientali ai margini dell’attenzione pubblica brasiliana. In un comunicato dell’Ibama si legge: “Sotto la direzione del Ministero dell’Ambiente, ogni richiesta della stampa riguardo le attività dell’Agenzia vanno reindirizzate all’ufficio comunicazione del ministero”. L’ordine solleva dal proprio incarico il direttore delle comunicazioni dell’Ibama dopo che per settimane aveva resistito alle pressioni del ministero. Come replica, un portavoce del Ministero dell’Ambiente ha spiegato che la misura è stata presa solo per garantire maggiore coesione ed efficacia alla comunicazione delle varie agenzie che compongono il Sistema Ambientale Nazionale. Le associazioni ambientaliste non sono dello stesso avviso e affermano come questo sia un affronto alla libertà di stampa del Paese e al diritto all’informazione sulle questioni ambientali da parte della società.  

Questa non è stata la sola mossa che il nuovo governo vorrebbe mettere in atto. Dopo la divulgazione dei dati da parte dell’Agenzia di ricerca spaziale brasiliana (INPE) riguardanti il disboscamento registrato nel mese di maggio dell’anno corrente, il Ministro dell’Ambiente Ricardo Salles ha proposto di sostituire il monitoraggio dell’INPE, ritenuto manipolabile, con un servizio satellitare privato ad alta risoluzione capace di fotografare in tempo reale la situazione nella foresta amazzonica. Una proposta un po’ troppo immediata, dato che i dati dovranno essere confermati da un altro programma satellitare governato, il PRODES, prima di risultare attendibili. 

La speranza degli indigeni e sicuramente anche degli scienziati impegnati nella ricerca ambientale è quella di non dover aspettare tre anni, quando saranno svolte le nuove elezioni presidenziali, per assistere alla diminuzione del disboscamento della foresta amazzonica o, nel peggiore dei casi, che quest’ultimo non aumenti ulteriormente. Per gli scienziati l’Amazzonia è una delle migliori protezioni naturali contro il riscaldamento globale, poiché agisce come un assorbitore di carbonio gigante ed è un territorio ricco di biodiversità dato che ospita miliardi di specie ancora da studiare. Come sostengono i rappresentanti del WWF, impegnati anche in un progetto per promuovere la gestione integrata e sostenibile dell’intero ecosistema amazzonico e il miglioramento della gestione degli ettari, difendere l’ambiente è un dovere verso la vita. 

Annaclaudia D’Errico