La quarantena di Patrick non è mai finita

La quarantena di Patrick non è mai finita

29 Gennaio 2021

La vicenda di Patrick Zaki riapre per noi italiani una ferita aperta, quella di Giulio Regeni e della sua barbara uccisione, rimasta impunita. Ci ricorda inoltre che sono migliaia i giovani egiziani che subiscono torture senza che l’Italia, o altri paesi europei, facciano poi nulla per impedirlo. Eppure tra il non fare nulla e il dichiarare guerra all’Egitto, la diplomazia ha numerose frecce all’arco di cui disporre. La prima regola, per avere una politica estera credibile, è quella di essere coerenti con l’immagine che si vuole dare di sé.
– Ugo Tramballi, ISPI.

Ci siamo ormai addentrati nel 2021, un anno in più, un numero in più, la sensazione di rinascita ed ansia per il futuro ed una motivazione di riscatto per un anno scellerato appena andato via. Ma l’isolamento forzato, la sensazione di costrizione, l’impossibilità di proseguire la propria vita da studente, con i propri ideali e aspirazioni, per Patrick Zaki non è mai finita. È iniziata il 7 febbraio 2020 l’agonia di Patrick, ricercatore egiziano di 27 anni, attivista, iscritto al master internazionale di studi di genere dell’Università di Bologna e attivista presso l’EIPR, iniziativa egiziana per i diritti personali. Partito per le vacanze a Mansoura, città natale, all’aeroporto viene arrestato “picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato in merito al suo lavoro e al suo attivismo. I legali ci hanno assicurato che sul corpo mostra segni visibili delle violenze” (report dell’EIPR). Gli vengono chiesti i suoi legami con la famiglia Regeni, vengono incriminati presunti post facebook contro il Presidente, stabilita una detenzione senza tempo, rinviata ogni volta di 15 giorni, 45 giorni. Un anno di torture e violazioni dei diritti umani. 

Solo dopo 24 ore dall’arresto la sua famiglia ha avuto notizie e il 9 febbraio è stato divulgata dall’associazione umanitaria dove lavorava in qualità di ricercatore, l’Egyptian Initiative for Personal Rights. Dal 5 marzo, Patrick Zaki è detenuto presso il carcere di Tora (Cairo). Gli attivisti della campagna “Patrick libero” hanno fatto presente che ogni udienza è identica alla precedente: il giudice gli pone sempre le stesse domande e, infine, decide di prolungare la detenzione preventiva. Ed è così che quello che inizialmente è stato considerato uno scambio di persona dato che i presunti post su Facebook su cui il giudice chiede spiegazioni sono stati scritti da altri e non da lui diventa un caso di vendetta. “Fate sapere che sono qui perché sono un difensore dei diritti umani.” è lo stesso Patrick a farlo presente in una lettera scritta per augurare buon natale a tutti i suoi colleghi. Istigazione a crimini terroristici e incitamento alle proteste, sono le accuse formulate dalla magistratura egiziana e per le quali rischia fino a 25 anni di carcere. Durante il periodo di custodia cautelare, Patrick è costretto a dormire a terra senza un materasso e i contatti con la sua famiglia e il suo avvocato sono sporadici. La madre è riuscita a fargli visita solo due volte – il 7 marzo e il 25 agosto – e per incontro brevi e delle più di 20 lettere che ha spedito alla sua famiglia ne sono arrivate solo due. La mobilitazione per l’immediata scarcerazione di Patrick ha trovato l’appoggio anche del Parlamento Europeo che a dicembre – con 34 i voti a favore, 49 contrari e 202 astenuti – ha condannato l’Egitto per il mancato rispetto dei diritti umani e ha chiesto all’intera Unione europea di attivarsi affinché Patrick sia liberato. Una liberazione che sembrava quasi vicina dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 e l’annuncio a giugno del presidente egiziano al-Sisi in cui dichiarava che 530 detenuti sarebbero stati rilasciati come misura di contrasto alla diffusione del virus. Tra questi, il nome di Patrick non è comparso, nonostante sia un soggetto asmatico e le richieste di Riccardo Noury portavoce di Amnesty International Italia. L’ennesimo appello ignorato, però, non ferma il lavoro di associazioni e attivisti. Dal 25 gennaio, infatti, per un mese il ritratto di Patrick e la lettere di scarcerazione tradotta in 16 lingue saranno esposti sulla facciata del Campidoglio a Roma, un’iniziativa dell’Associazione InOltre Alternativa Progressista. 

L’Italia, a quanto pare, non sembra riuscire a collegare il caso di Patrick con quello di Giulio. La brutale uccisione di Regeni non ha ancora segnato a sufficienza il paese che sembra semplicemente fare finta di nulla. L’Università di Bologna ha voluto iniziare il nuovo anno accademico occupando i luoghi comuni con 150 illustrazioni in cartonato di Patrick. Servirà a non far dimenticare agli studenti chi era ed è Patrick. Ma loro, e noi, non lo abbiamo mai fatto. Gli attivisti e le associazioni non lo hanno mai fatto. Sembra invece farlo il governo italiano che a dicembre ha voluto consegnare al regime una fregata Framm, violando la legge nazionale che vieta l’esportazione di armi a paesi in cui i governi si sono macchiati di violazione di diritti umani. Il lato commerciale continua a prevalere su quello umano. E su Patrick continuiamo a sentire soltanto una cosa: “prolungata la detenzione”. In condizioni disumane come tutti gli imprigionati in Egitto, paese che non si fa scrupolo ad arrestare persino i bambini a cui sottopone torture proprio come gli adulti. Costretti a subire processi militari, senza garanzie. L’Italia sa tutto questo e continua a preferire i rapporti commerciali e a non intraprendere alcuna seria azione nei confronti dell’Egitto. Quanto vale qui la vita di uno studente che sceglie il nostro paese per continuare i suoi studi? Quanto vale qui la vita di uno studente che sceglie di intraprendere un periodo di studi all’estero? Quanto vale qui la protezione degli studenti e in generale delle persone che difendono i diritti umani? Secondo noi, più di una fregata

La Redazione