Cosa resta dello sgombero di via Cardinal Capranica

Cosa resta dello sgombero di via Cardinal Capranica

9 Settembre 2019

Tutte le scuole, in questi giorni, stanno aprendo le proprie porte. È settembre, si ritorna tra i banchi. Gli insegnanti in queste occasioni fanno spesso svolgere agli scolari un tema dalla traccia “Racconta come hai trascorso le vacanze estive”. Se dovesse accadere, possiamo immaginare la riposta di circa 80 bambini di Roma: “ho perso casa”.

Perché è esattamente quanto accaduto circa due mesi fa quando, in piena notte, diversi blindati della Polizia hanno circondato l’edificio dell’ex scuola di via Cardinal Capranica. Le immagini e i video di quei momenti hanno fatto il giro di tutto il paese: gli occupanti sui tetti, le recinzioni della polizia, i manganelli, le fiamme, gli idranti, le tensioni e le parole di Matteo Salvini. A distanza di due mesi, con la struttura liberata, cosa resta di quell’azione di sgombero? Gli stessi problemi di prima. Le persone che occupavano l’edificio perché non avevano un altro posto dove stare, non ce l’hanno neanche oggi. Nessuna famiglia è mai andata in una nuova casa. In pochissime l’hanno ottenuta ma, per via della messa in sicurezza delle strutture, non ne hanno mai ottenuto l’accesso. La maggior parte delle famiglie è stata invitata ad entrare in un centro d’accoglienza. Vivere lì significa vivere sotto stretta sorveglianza. Si mangia e si dorme a specifici orari. Non si può entrare o uscire al di fuori dei momenti prestabiliti. In molti hanno rinunciato e sono tornati in strada, ad occupare una nuova struttura. Nulla, pertanto, è mai cambiato.

Le famiglie sono riuscite ad ottenere un tavolo permanente di discussione con la Regione per trovare entro novembre una sistemazione adeguata. Un percorso di confronto che andava intrapreso e concluso ben prima dell’operazione e che, ad oggi, non ha prodotto nulla. Anzi, proprio in questi giorni è possibile prendere visione del suo primo fallimento. Tutti i genitori delle famiglie occupanti dell’edificio di Primavalle hanno subito messo in chiaro una condizione per loro imprescindibile: i bambini devono andare a scuola. Nella stessa struttura che hanno frequentato anche l’anno scorso. Servirà per dar loro un barlume di normalità e non ritrovarsi da un giorno all’altro non solo senza una casa ma anche senza la stessa scuola in cui sono cresciuti. Lo sparpagliamento delle famiglie però è avvenuto e ora sarà difficile riuscire a concentrare nuovamente l’assetto della comunità. Un pullman gratuito che vada a prendere personalmente i bambini: è la soluzione proposta in questi giorni dall’assessore Baldassarre ma che non ha convinto le famiglie visti i vari tratti di distanza e l’assenza di certezza che il servizio saprà venir incontro alle effettive distanze.

Sharon è una delle donne che il 15 luglio è stata allontanata dall’abitazione. Ad AsinuPress ha voluto denunciare l’atteggiamento generale di quel giorno “Il tutto è stata una cosa vergognosa. Ci hanno trattato come bestie, così non si fa, i bambini compresa mia figlia sono tutti destabilizzati. Hanno dovuto cambiare casa (se un centro d’accoglienza si può definire tale) ed ora, visto che le soluzioni ancora non ci sono, molto probabilmente dovranno cambiare anche scuola e lasciare così tutte le amicizie che hanno consolidato negli anni“. 

Lo sconcerto è naturale. La struttura, in seguito allo sgombero, è stata recintata e a molti ex occupanti non è stato permesso di entrare per prendere i propri oggetti lì rimasti. Sembra che oggi non avere un lavoro o una casa di proprietà sia un crimine. Non nascere in una famiglia con già una sufficiente base economica sia una colpa. E, sulla base non si sa bene di cosa, ci si permette di promuovere moralità legale e sintetizzare episodi come questi come semplice intervento all’abusivismo e illegalità. Nessun impianto, o discorso, di tipo sociale è mai stato preso in considerazione. A queste persone lo Stato non vuole dare nessuna possibilità: sono esclusi dal Reddito di cittadinanza, manovra che almeno in teoria avrebbe dovuto permettere il reinserimento di persone nel mondo del lavoro, perché non in possesso di una casa di proprietà. Come se dovesse esservi un livello, sotto il quale non si più andare, affinché la politica pensi a manovre di sostegno. Il sistema non li vede, non li ascolta, non li riconosce, togliere loro un tetto, una scuola per i figli, e lascia loro solo un vuoto che si impegnano a riempire con parole e promesse.

78 nuclei familiari, 300 persone, 80 minorenni. 80 bambini che sicuramente saranno stati turbati dagli eventi di sgombero. E il cui rientro a scuola sarà difficile già solo per questo. Poter loro permettere almeno di ritornare dai loro amici, insegnanti e persone che ormai hanno imparato a conoscere permetterà di dar loro un po’ più di sicurezza e tranquillità. Avranno meno paura e forse riusciranno anche ad essere più propositivi per il loro futuro. Ma ora anche questa piccola rassicurazione potrebbe vacillare se il sistema di trasporto dovesse fallire o rivelarsi insufficiente. Visto che l’amministrazione romana tarda a mettere in pratica soluzioni efficaci, la speranza è che le scuole e gli insegnanti sappiano, come loro dovere, cucire le ferite attraverso l’istruzione, l’ascolto e l’aiuto. Si abbia il coraggio di formulare davvero quella domanda e di ascoltare quel “non ho una casa”. Sarebbe una lezione. Perché anche se noi noi tra i banchi non ci sediamo più, abbiamo ancora tanto da imparare

Antonella Maiorino