4 Marzo 2020

4 Marzo 2020

4 Marzo 2021

4 Marzo 2020.
Era un giorno come un altro. Sveglia alle 07:00 (se non anche prima), maglie, guanti e sciarpa per affrontare le basse temperature di Fisciano, passo svelto in strada perché si è sempre in ritardo per il pullman e l’arrivo assonnato al campus. Scappatina veloce al bar, qualche salutino lungo il tragitto e il posto in aula. Due o più ore di appunti presi male, ancora stanch* dai ritmi notturni imposti dalla sessione. Qualche messaggio in chat, la fame chimica delle 10:00 del mattino, solite domande su studio, corsi ed esami e quel flebile sole di primavera che durante i tramonti pomeridiani assumeva ogni volta un colore diverso.
Quel giorno quasi nessuno ha fatto in tempo a vedere il sole calare. Verso le 15:00 l’ateneo salernitano ha confermato l’immediata chiusura del campus per provvedere alla sanificazione degli ambienti. Si parlava già di virus, si usava già l’amuchina e disinfettavamo già (in modo compulsivo) mani e postazioni. Ma eravamo fiducios*. Speranzos*. Pensavamo sì, ok, sono solo quattordici giorni. Quando Giuseppe Conte ha annunciato il lockdown nazionale, noi eravamo lo stesso fiducios*. “Ce la faremo”, ma sì, dai. Sono solo alcune settimane, il tempo volerà, c’è così tanto da fare.
Eravamo tutt* eccitat* all’idea di tornare al campus. Quando a maggio si apriva tutto, noi aspettavamo la comunicazione d’ateneo. Quando a luglio sono state comunicate le linee guida noi aspettavamo il nostro turno per prenotare sull’app un posto da qualche parte. Fosse stato anche solo il muretto di Piazza del sapere. Poi però abbiamo sentito parlare di nuovo di chiusure, di nuovo di lezioni ed esami a distanza e alla fine è passato un anno.
365 giorni di lezioni, esami, tutorato davanti ad un pc. Lo stesso. Ora registriamo, non ci sforziamo neanche più di prenderli almeno male gli appunti. Sappiamo che ci sono i video, gli audio e sappiamo che ora saranno perfetti, precisi come non mai. Non dobbiamo coprirci con mille maglie, quest’inverno non abbiamo neanche avuto un raffreddore lontan* da Fisciano. Non abbiamo più preso un caffè al volo, di quelli veloci da assumere obbligatoriamente per svegliarsi. Non dobbiamo più fare a gara per prendere il pullman. Ora il posto a sedere davanti ad una lezione ce l’abbiamo tutt*. Nessun* più siede a terra.
Eppure; nonostante queste comodità, il rendimento è calato. Si studia dal libro mentre in sottofondo si sente la tv accesa, mentre sentiamo il rumore del traffico sotto casa. E talvolta si fa fatica a ricordarsi dove si è e chi si è. Dov’è che possiamo ritrovarci, far capire che studiare è come lavorare: devi avere orari precisi, una postazione efficiente, silenzio attorno a te e preferibilmente indossare delle scarpe.
Ma a noi sembra che non sia chiaro. Perché si parla solo di investimenti nel settore economico e molto poco di quelli alle università e alla ricerca e mai di bonus alla classe studentesca senza fare (almeno per una volta) distinzioni di età, media, cfu, in corso o fuori corso. Vorremmo essere visti come un’unica categoria e non divisi in mille criteri diversi. Perché si continua a parlare di chiusura e mai di apertura universitaria. Universitaria. Student* universitar*. Perché siamo quell* che per un anno non sono mai stat* menzionati dal governo.
Perché per noi il lockdown non è mai finito. E oggi siamo al trecentosessantacinquesimo giorno. Sì, da leggere a chiare lettere e tutto d’un fiato.
Trecentosessantacinquesimo giorno.