La patrimoniale (non) è un’emergenza

La patrimoniale (non) è un’emergenza

23 Febbraio 2021

La consapevolezza che le crisi non vengono affrontate da tutti allo stesso modo ma con mezzi ed esiti del tutto ineguali, ha riacceso in Italia il dibattito sul tema dell’eguaglianza socio-economica che ha trovato il suo spazio legale nell’inserimento dell’imposta patrimoniale all’interno della legge di bilancio. L’emendamento proposto da Nicola Frantoianni e Matteo Orfini prevedeva l’inserimento, sulle grandi ricchezze, di una patrimoniale progressiva, precisamente incidente su determinate categorie di contribuenti attraverso tre differenti percentuali. Una proposta che è stata bocciata da quasi la totalità della rappresentanza parlamentare venendo definita come un’intromissione statale nel patrimonio dei cittadini più abbienti.

La norma verrebbe giustificata dal carattere una tantum dell’intervento (il prelievo avverrebbe una sola volta e non con regolarità) e dall’emergenzialità del momento. Soprattutto sulla base di quest’ultima peculiarità prende vita la possibilità, già esistente, per lo Stato di intervenire nella sfera proprietaria altrui ai fini di un interesse generale più rilevante. Emblematico è il caso dell’istituto dell’espropriazione, tramite il quale il potere pubblico può rinvenire a sé, per mezzo di indennizzo, il terreno necessario alla realizzazione di una necessità pubblica spesso destinata alla realizzazione di un progetto edilizio di cui usufruirà l’intera comunità (come ad esempio la costruzione di una scuola). Il discorso di uno Stato che avoca a sé situazioni e/o oggetti che in origine non gli appartengono è perciò una condizione già nota nel nostro ordinamento, giustificata sempre dal principio secondo cui l’interesse generale sovrasta quello singolo, particolare, che viene semplicemente risarcito. Necessità, urgenza, emergenza, difficoltà: sono tutti elementi da tenere in considerazione in situazioni come queste. Al di là della storia travagliata dell’approvazione dell’emendamento, considerato inizialmente inammissibile per la Commissione Bilancio poiché dubbiosa sulla scarsa capacità di compensazione della patrimoniale rispetto all’eliminazione dell’Imu (l’emendamento è stato poi riammesso) è forse, allora, necessario riconsiderare la proposta in merito al momento storico attuale. La parola che ha pervaso e che sembra caratterizzare anche il 2021 è “emergenza”: una condizione eccezionale composta da DPCM, difficoltà sanitarie, ristori, luoghi chiusi e imposizione di regole che toccano la più delicata sfera dei diritti dei cittadini.

Tutte azioni messe in campo e considerate in chiave di compromessi per superare gli eventi funesti. Se il temperamento di posizioni contrapposte si è reso necessario per interpretare le norme messe in campo, è pur vero che tutto ciò che è stato ipotizzato e attuato nel 2020 era probabilmente necessario già in precedenza: avevamo già bisogno di più fondi per la ricerca scientifica, di più posti in terapia intensiva, di nuove assunzioni per medici e infermieri, maggiore regolarizzazione per le persone migranti, tutela economica per le fasce più deboli. Ci troviamo in una situazione emergenziale di fronte alla quale la rappresentanza parlamentare non ha voluto adottare soluzioni eccezionali, preferendo invece l’atteggiamento di normalizzazione a cui stiamo assistendo da anni. È normale disporre di ridotto personale medico-sanitario, non avere sufficienti insegnanti nelle scuole, non investire seriamente in un piano occupazionale giovanile, non incrementare il servizio di trasporto pubblico. L’emergenza (di un problema) che diventa normalità. E la normalità nel continuare a considerare le  soluzioni più incisive soltanto utopia

Antonella Maiorino
Maria Vittoria Santoro

Tratto dal bollettino informativo “Arrocchi Artificiali“.