I bambini senza infanzia

I bambini senza infanzia

12 Giugno 2020

Nel 2002 l’International Labour Organization (ILO) ha indetto la Giornata mondiale contro il lavoro minorile per richiamare l’attenzione sul fenomeno diffuso a livello mondiale dei bambini vittime del lavoro forzato. Tale giornata vuole sottolineare gli sforzi e le azioni necessari per prevenire e debellare il lavoro minorile. Ogni anno il 12 giugno la Giornata mondiale unisce governi, organizzazioni di imprenditori e lavoratori, la società civile e milioni di persone in tutto il mondo per rendere nota la difficile situazione in cui si trovano questi bambini e discutere quali misure debbano essere adottate per poterli aiutare. 7 anni prima, nel 1995, venne istituita in onore della morte di Iqbal Masih per il 16 aprile la Giornata mondiale contro la schiavitù minorile. Entrambe giornate che a distanza di pochi mesi hanno l’obiettivo di denunciare lo sfruttamento minorile e il diritto dei bambini ad avere un’infanzia degna di essere chiamata tale. Almeno fino a quando, una tragedia come quella della piccola Zohra non sarà neanche immaginabile.  

Zohra, domestica di 8 anni pestata e uccisa per aver liberato due pappagallini. È con questa dicitura che i titoli di vari giornali iniziano a raccontare di quanto è accaduto in Pakistan. Accostare l’aggettivo di “domestica” ad una bambina, in un mondo perfetto, dovrebbe essere impossibile. A spingere i genitori di Zohra ad accettare la proposta di far lavorare la propria bimba è stata la speranza di offrirle  l’istruzione che loro non avrebbero mai potuto permettersi. La coppia benestante, diventata successivamente i datori di lavoro di Zohra, avevano infatti assicurato alla famiglia che se lei avesse accudito il figlio di un anno loro in cambio si sarebbero occupati di pagarle gli studi. Questo, purtroppo, non è mai successo. Un anno di violenze e soprusi, questa è stata la realtà di Zohra in questi 365 giorni. Una violenza che nessuno dovrebbe subire, soprattutto una bambina che aveva solo voglia di conoscere ed imparare.

Sono trascorsi venticinque anni da quando Iqbal Masih è stato ucciso vicino a Lahore, a pochi passi da casa sua. Aveva dodici anni. Per tutta la sua vita aveva vissuto in condizioni di estrema sofferenza all’interno di una fabbrica tessile dove intrecciava tappeti tutti i giorni. Quando aveva quattro anni fu venduto al proprietario di un’azienda per un debito di dodici dollari contratto dalla sua famiglia. Dopo sei anni riuscì a scappare incontrando Ehsan Ullah Khan, Presidente del Fronte di Liberazione dal lavoro forzato. Le ore trascorse a tracciare fili si trasformarono in tempo impiegato in conferenze di denuncia. Iqbal disse a tutti cosa accadeva in Pakistan, con quali mani venivano confezionati i tappeti che ornamentavano le abitazioni. Cinque mesi prima di morire gli fu conferito il premio Reebok Human Rights Award, nella categoria Youth in Action, presso la Northeastern University di Boston. Fu ucciso da un gruppo di uomini collegati alla rete di criminalità che gestiva il commercio dei tappeti e il reclutamento di bambini da impiegare come bassa manodopera.

L’indignazione popolare provocò manifestazioni, la chiusura di molte fabbriche e il cambio di atteggiamento delle aziende europee destinatarie della merce. Si arrivò persino ad una legge che avrebbe dovuto eliminare per sempre il lavoro minorile in Pakistan. “Sindh Prohibition of Employment of Children Bill 2017” rendeva illegale il lavoro al di sotto dei 14 anni, una norma che  – secondo gli attivisti – era in chiara contraddizione con l’articolo 25 della Costituzione pakistana che garantisce l’istruzione obbligatoria e gratuita a tutti i minori tra i 5 e i 16 anni di età. La legge approvata è stata anche il frutto della pressione esercitata sullo Stato in seguito alla morte di Khyber Pakhtunkhwa, una bambina di dieci anni, impiegata a Islamabad come domestica, torturata e uccisa dalla sua padrona  perché aveva smarrito una scopa.

La norma è in vigore a Punjab, la regione dove è stata uccisa Zohra. Nonostante i vari casi di violenza e morte registrati in Pakistan il lavoro minorile e il suo schiavismo continuano ad essere praticati. I bambini e le bambine sostituiscono le ore da trascorrere a scuola con quelle nelle fabbriche di tappeti, mattoni, stoffe, palloni oppure come domestici e domestiche in case private dove i controlli sono ancora più rari. Restano lì, tutto il giorno, per tutta l’adolescenza, con orari massacranti, poco cibo, in luoghi sporchi e mal curati, senza studiare e senza mai vivere un’infanzia nonostante questa appartenga loro di diritto.

La piaga del lavoro minorile non appartiene soltanto alla regione del Punjab, ma affligge in misure differenti ogni continente presente sul pianeta. Secondo l’OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro) 152 milioni di bambini –68 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini- sono vittime di lavoro minorile. 73 milioni di questi versano in condizioni critiche, costretti a svolgere le proprie mansioni in ambienti deleteri per la loro salute, la loro sicurezza e il loro sviluppo morale e culturale, costretti a lottare per la sopravvivenza a causa di contesti criminali (basti pensare alla realtà dei bambini soldato), disastri ambientali, guerre, povertà estrema. L’Italia, negli ultimi anni, è in terribile ascesa per quanto riguarda l’aumento del lavoro minorile. La problematica, che dovrebbe essere scomparsa nel 1967 grazie ad una legge apposita, sembra non essere mai stata risolta, e con la crescita esponenziale di persone e famiglie in stato di indigenza, sembra crescere ancora di più. Secondo la Direzione Centrale della Vigilanza dell’Ispettorato del lavoro, dal 2013 al 2018 sono stati accertati ben 1.437 casi di violazioni penali accertate della normativa sul lavoro minorile, ma secondo l’OIL, la stima supera le 300.000 unità. È ovviamente evidente il collegamento tra aumento di povertà e di sfruttamento minorile, ed è fondamentale che il cambiamento debba essere sistemico. Ma nel momento in cui tale pratica incontra una tale dose di violenza all’interno di una piccola realtà, di un nucleo familiare che, oltre a creare un’occasione di sfruttamento, toglie con brutalità la vita sotto una falsa promessa di emancipazione economica, è sintomo di un sostanziale aggravamento della percezione della pratica del lavoro minorile, un’azione volta alla pura affermazione della propria superiorità su una persona indifesa, debole, senza alcuna possibilità di reagire: una bambina. Una bambina colpevole di aver liberato, accidentalmente o per pura ed ingenua voglia di donare un po’ di libertà, due pappagalli da una gabbia.

La Redazione