Cosa vuole fare Link Fisciano in CNSU?

Martina Roberto e Vincenzo Amato sono l3 candidat3 al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari per l’associazione Link Fisciano. L3 abbiamo intervistat3 su alcuni punti del programma elettorale per capire in che modo intendono farsi carico delle istanze studentesche.

Link è una realtà sia locale che nazionale. A differenza di altre associazioni, voi siete presenti allo stesso modo in tutto il territorio nazionale. Quanto secondo voi questo è importante per il tipo di lavoro/rappresentanza che intendete svolgere?
Come organizzazione studentesca di stampo sindacale, Link si distingue sicuramente da tutte le altre associazioni, ed è proprio questo che cerchiamo di far arrivare all3 student3. Link si muove su ideali comuni, mentre le altre associazioni non hanno ideali ben prefissati, si appoggiano ad altre realtà per un tornaconto elettorale. A noi interessa semplicemente muoverci allo stesso modo sul piano nazionale e territoriale per portare delle vertenze politiche, delle proposte concrete che partano dalle esigenze della realtà locale, ma che possano effettivamente trovarsi sulla stessa linea del manifesto nazionale. Le altre associazioni praticano invece una mera forma di assistenzialismo che noi di Link non escludiamo totalmente, ma non la privilegiamo. Vogliamo che l3 student3 siano indipendenti, che non abbiano necessariamente qualcuno che l3 guidi, e che possano essere poi loro a guidare qualcun altro. La differenza tra Link e tutte le altre realtà è che l3 componenti di Link sono innamorat3, innamorat3 della lotta, della rivoluzione, innamorat3 di tutte le istanze che vorrebbero portare avanti in università. Lo slogan “per un’altra università” nasce da questi presupposti.

Come scelta politica, avete deciso di presentarvi con due candidat3. Perché avete optato per questa soluzione? Per quale motivo non avete preferito concentrare le vostre energie su un’unica candidatura, ma avete invece scelto di concorrere con due candidature distinte, pur facendo parte dello stesso progetto?
Il CNSU funziona per circoscrizioni. La circoscrizione del sud e delle isole non ha molt3 candidat3 in altre regioni. In Campania abbiamo tre candidat3 su Napoli e due su Salerno. Vogliamo dimostrare la nostra presenza sul territorio, il sud non è dimenticato. Da un punto di vista più legato alla nostra realtà, mostriamo anche di non essere presenti soltanto sul polo umanistico, ma anche su quello scientifico. Più che dividere le nostre forze, abbiamo scelto di portare avanti un pensiero e presentare le nostre idee tramite i vari collettivi che agiscono sui corsi di laurea. È la prima volta che Link Fisciano presenta una candidatura su entrambi i poli. Ci ha permesso di partecipare al ricambio generazionale avvenuto nei nostri collettivi, parlare in tutte le aule dell’ateneo, vivere le elezioni con maggiore coinvolgimento emotivo.

Proponete una Riforma della Rappresentanza. Cosa intendete nello specifico? Quali criticità avete riscontrato nella rappresentanza e cosa modifichereste?
Gli avvenimenti recenti parlano chiaro, e sono in contrapposizione alla nostra idea di rappresentanza. Non ci siamo mai post3 in modo aggressivo, non abbiamo mai chiuso il dialogo a nessun3. Vorremmo che la rappresentanza fosse formata da persone che realmente aspirino al benessere dell3 student3 nell’ambiente universitario. Lo dimostra la nostra scelta di non mostrare il volto dell3 candidat3, ma il logo di Link, proprio per portare avanti la nostra idea di università e non lə studentə che identifica lə candidatə come portavoce della realtà e quindi come protagonistə. Riteniamo che la rappresentanza debba essere riformata da zero, che nessuno debba rappresentare sé stessə, ma tutt3. È impensabile portare avanti una mentalità prevaricatrice. Parliamo di persone che usano il materiale didattico come ricatto per iscriversi o meno ad un’associazione studentesca. Se questo è il livello di rappresentanza a cui siamo arrivat3 qui a Fisciano, dovremmo cominciare a porci delle domande su cosa effettivamente intendiamo quando pensiamo alla parola rappresentanza.

Proponete l’abolizione dei criteri di merito per l’ottenimento delle borse di studio. Quanto, secondo voi, l3 student3 vengono penalizzat3 da un sistema di attribuzione di sostegno economico che si fonda principalmente sul rendimento universitario?
Abbiamo qui a Salerno una No Tax Area la cui soglia è pari a 30.000 euro. Lo rivendichiamo sul territorio e a livello nazionale e internazionale. Non riuscire più ad ottenere quell’agevolazione perché non si è riuscit3 a conseguire i CFU necessari per motivi personali, spesso legati alla necessità di conciliare il lavoro e lo studio è allucinante. Non è possibile pensare che il merito consista nel dover rispettare alcuni criteri a tutti i costi per avere un qualcosa che è nostro di diritto. Si tratta di criteri che non possono essere utilizzati in maniera universale, senza tenere conto della soggettività dell3 student3 all’interno del proprio percorso universitario. Questo non fa che aumentare una performatività e una standardizzazione del sapere che qui in università non dovrebbe esserci, dovremmo assistere al fiorire e all’incontrarsi sia a livello culturale che sociale. Il discorso sulla meritocrazia si dà spesso molto per scontato. Nel migliore dei casi porta lə studentə a concentrarsi esclusivamente sugli esami per raggiungere i cfu sufficienti per accedere all’agevolazione economica, disinteressandosi completamente della realtà politica che lə circonda. Nel peggiore dei casi la risposta la lasciamo a chi leggerà. Nello specifico, perdere uno strumento come la borsa di studio significa rinunciare a delle agevolazioni fondamentali, come la mensa gratuita, una possibilità importante in questo momento, soprattutto per ovviare all’aumento dei prezzi avvenuto nei bar interni al campus e il caro affitti. Il problema colpisce l3 student3 sia a livello economico che psicologico. La meritocrazia sta diventando sempre più strutturale all’interno dell’università.

Recentemente è stato modificato l’accesso al corso di laurea in Medicina. Qual è la vostra posizione su questo?
Crediamo che la modifica effettuata non sia adeguata. Si tratta di una forma di meritocrazia in fase avanzata, che spinge prima a sentirsi parte del corso di laurea e poi ad esserne estromess3 vedendo il proprio sogno distrutto. Sicuramente anche i criteri d’accesso precedenti erano davvero complessi. Ci sono student3 che hanno provato ad entrare a medicina per svariati anni, iscrivendosi a corsi di laurea alternativi in attesa di ritentare nuovamente il test d’accesso. Troppe persone investono le proprie risorse economiche in una triennale che non soddisfa a pieno i propri desideri. Si tratta in generale di un processo che legittima ancora di più il peso che la meritocrazia ha sull’individuo.

Per far fronte alla carenza degli alloggi, proponete una mappatura degli immobili sfitti. La vostra è, quindi, una proposta volta alla riqualificazione degli immobili e non alla costruzione di nuovi alloggi?
Attualmente, rispetto al territorio salernitano, si sta andando sempre di più verso una costruzione edilizia veramente sfrenata e senza limiti, e questo porta non solo ad una edificazione quasi ai limiti dell’abusivismo, ma anche all’aumento dei prezzi degli affitti. Student3 che provano a rimanere a Salerno rischiano di spendere cifre che non si affrontano nemmeno nelle migliori città universitarie. È necessario riqualificare e dare più spazio agli immobili presenti nella zona di Fisciano, Penta e Baronissi, cercando di garantire prezzi calmierati per aiutare effettivamente la persona ad affrontare le spese abitative.

Proponete la decostruzione di un sistema universitario basato su meritocrazia e performatività. Cosa significano per voi “meritocrazia” e “performatività”? Quali sono invece le caratteristiche che secondo voi dovrebbe avere il sistema universitario?
Un’espressione che potrebbe ancor meglio definire il termine “meritocrazia” è “meritare i propri diritti”. E i diritti, in quanto diritti, non si meritano. Non dobbiamo meritare di studiare. Possiamo studiare e formarci, ma non dobbiamo meritarlo. Il concetto di performatività si ricollega a questo. Si è performativi anche nei propri riguardi. Tutt3 abbiamo vissuto un momento di performatività nell’affrontare un esame, subendo la paura di ottenere un voto basso, anche per i criteri per l’ottenimento delle agevolazioni di cui parlavamo prima. Questo rappresenta un fallimento delle istituzioni. Molte persone, ritengono che il merito possa avere un carattere positivo all’interno dell’università. Studiamo per ottenere buoni voti. Esiste però la salute mentale, e tutto ciò che ne consegue. È una questione legata alla capacità di agire in relazione alle situazioni. Ma se una persona non riesce ad affrontare quella situazione, che deriva dalla meritocrazia e dal concetto di performatività, si ritrova con le spalle al muro, senza possibilità di reagire. Ed è lì che accadono le catastrofi che purtroppo conosciamo.

Proponete l’abolizione di tutte le misure che riflettono la competitività intrinseca del sistema universitario. Quali sono secondo voi queste misure? In che modo secondo voi incidono sulla classe studentesca e sul sistema universitario?
Competitività significa per noi cercare una standardizzazione verso un livello molto alto, una forma di perfezionismo. Non si ha la possibilità di sbagliare durante il proprio percorso universitario, bisogna sempre far capo ad uno standard imposto. Una persona fuori corso viene tagliata dagli spazi che dovrebbero essere anche suoi, le tasse le vengono maggiorate, è una condizione che fa sentire quella persona in una posizione di “indesideratə” all’interno di un’università che invece dovrebbe accogliere qualsiasi realtà, qualsiasi soggettività. La performatività pone anche una sorta di etichetta sociale che è difficile togliere nei contesti che si è solit3 attraversare. L’università è lo specchio della società in cui viviamo, dovrebbe essere promotrice di etica e cultura, dare la possibilità alla persona di autodeterminarsi. Un’istituzione così importante rimane invece soggetta ad una società capitalistica dove il diritto diventa qualcosa da guadagnare. La competitività la avvertiamo quotidianamente in università anche tra student3. Lo vediamo dalla pratica della compravendita di appunti, che noi cerchiamo di contrastare con la creazione di un drive aperto a chiunque ne abbia bisogno. Può sembrare una scelta assistenzialistica, noi l’abbiamo invece intesa come una scelta politica per contrastare le difficoltà economiche che l3 student3 subiscono.

Proponete l’abolizione dell’aumento delle tasse per l3 fuori corso. Quanto secondo voi l3 fuori corso sono stat3 e continuano ad essere sfavorit3 e punit3?
La condizione dell3 fuoricorso viene molto spesso associata ad una scelta. Non è una scelta. La maggioranza delle persone che vivono l’ambiente accademico aspirano ad andarsene. Rimanere non è una scelta personale, non è la scelta di tutti quell3 student3 che si ritrovano dopo anni ad affrontare un percorso universitario. Si trascurano diversi fattori soggettivi, dinamiche familiari, economiche, lo stesso benessere psicologico. Queste problematiche non vengono ascoltate, quindi non si da la possibilità di creare spazi di supporto verso quelle che sono le prassi che accompagnano l’ambito accademico. Il fatto che Link porti avanti l’idea di abolire un appesantimento delle tasse per chi è fuoricorso è una proposta naturale, viene da sé, così come in passato abbiamo cercato di abolire le more sulle mancate presentazioni del reddito ISEE. Riteniamo sia assurdo discutere ancora di queste problematiche e portiamo avanti da sempre questo genere di istanze.

Proponete l’abolizione del sistema meritocratico per gli esami. Quale sistema, secondo voi, dovrebbe essere adottato?
Idealmente immaginiamo un percorso accademico in cui non esiste alcuna media. Crediamo sia possibile agire in questo senso, che una realtà in cui il voto non sia importante non sia utopica. Attualmente il voto è il punto di riferimento di ogni studentə. Un esame potrebbe essere semplicemente superato o non superato. Viviamo per un voto che non ci identifica realmente. Chiaramente la bocciatura esiste, deve esistere perché altrimenti non ci sarebbe un momento di formazione all’interno dell’università che poi va effettivamente ad incidere sulla vita dell3 student3. Pensiamo che il fine ultimo del superamento di un esame sia comprendere cosa si sta studiando e riuscire ad elaborarlo. L’esame non è un passaggio che effettivamente attesta le conoscenze acquisite, ma attesta le conoscenze acquisite rispetto a quel giorno, perché i fattori che incidono su un voto non dipendono soltanto da chi svolge l’esame, ma molteplici fattori esterni.

Il nuovo percorso dei 60 crediti formativi, essendo a carico economico dell3 student3, rischia di essere uno strumento di esclusione per chi non può permettersi determinate spese. Cosa proponete su questo?
La questione dei 60 crediti è molto sentita, soprattutto da chi frequenta facoltà umanistiche. Sono il motivo per cui il sistema d’accesso all’insegnamento diventa sempre più elitario. I costi, all’Università degli Studi di Salerno, ammontano a circa 2500 euro da investire da parte dellə studentə intenzionatə ad iniziare un percorso di studio per una sola cattedra. Se unə studentə inizia un percorso accademico con la volontà di intraprendere questa strada, si ritrova ad aver speso dai cinque ai sette anni di tempo a studiare all’università per poi dover comprare – perché in sostanza si tratta di comprare – dei crediti aggiuntivi senza avere la garanzia di non essere unə precariə. Gestiamo dei gruppi dedicati alla tematica grazie alla nostra campagna “Io voglio insegnare”, iniziata anni fa, e vediamo ragazz3 disperat3 nel dover affrontare questa difficoltà, e questo non ci fa credere per nulla nelle istituzioni. I 60 cfu sono la dimostrazione di quanto questo sistema non renda possibile che l’istruzione diventi uno sbocco lavorativo. Dovremmo mirare all’abolizione di questo sistema, rendere l’accesso all’insegnamento immediato, o almeno rendere gratuito un percorso obbligatorio.

Fate presente l’irregolarità dell’accesso alla carriera alias (che differisce per ciascuna università). Secondo voi quale dovrebbe essere l’iter più adeguato
Attualmente il percorso per accedere all’iter burocratico e pratico per la transizione di genere è già lunghissimo. Non riuscire a garantire ad unə ragazzə, che ha magari già iniziato questo processo alle superiori, di essere definitə come vorrebbe in università, è scorretto. Come Link Fisciano abbiamo portato in Consiglio degli Studenti una proposta per agevolare il percorso per la carriera Alias, sperando che al Senato la questione venga trattata con le giuste attenzioni, è quasi impossibile, ma speriamo che gli organi apicali riescano realmente a fare qualcosa di concreto a in ateneo su questo tema. Parliamo di autodeterminazione, e di impossibilità di identificarsi in ciò che si sente. Permettere alle persone di portare avanti la propria identità personale anche in ambito accademico è un passaggio necessario, ed è doveroso farlo e prendere posizione su questi temi.

Rendere i tirocini retribuiti è un’istanza studentesca che non ha ancora trovato accoglimento da parte della politica. Cosa pensate si possa fare su questo?
I tirocini sono strutturati male. Alcuni sono prettamente impostati sulla formazione, e molto spesso non mostrano realmente ciò che si andrà ad affrontare nel post laurea. Sono inoltre spesso erogati, in alcuni dipartimenti, tirocini incongruenti con le materie studiate, che non restituiscono alcuna competenza. Anche accedere al tirocinio è complesso, non si ha libertà di scegliere quando e come farlo, bisogna avere un tot di cfu per iniziare il percorso. Per i tirocini relativi ai percorsi di laurea magistrale, vediamo situazioni al limite dello sfruttamento della persona, che senza ricevere alcun compenso, è costretta a partecipare ad attività di ricerca e a snocciolare dati per conto terzi senza avere alcun riconoscimento su eventuali paper di riferimento.

Proponete l’applicazione di regolamenti antimolestie. Cosa dovrebbero prevedere e in che modo andrebbero realizzati?
Crediamo che i fatti accaduti in questi giorni siano già di per sé un chiaro indice della cultura machista che è profondamente radicata nella realtà che viviamo. Il fatto che certi episodi abbiano risonanza mediatica solo in occasione di eventi particolari – come possono essere le elezioni – dimostra come vengano strumentalizzati. C’è una mancanza di attenzione reale. L’università, per esempio, lascia completamente passare sotto silenzio le molestie che le persone vivono al suo interno. Questo la rende responsabile verso chi subisce. Molto spesso, infatti, si cerca semplicemente di individuare il carnefice, ma senza offrire un vero supporto alla persona che ha subito la violenza. Noi vogliamo portare avanti l’apertura di consultori, sportelli di ascolto e spazi di supporto. Ma non solo: è fondamentale che ci sia personale realmente formato, capace di affrontare situazioni tanto delicate, che rappresentano veri e propri traumi per chi le vive. Noi vogliamo questo: vogliamo uno spazio sicuro, uno spazio solidale. Non un posto dove avere paura. È questo che stiamo cercando di costruire.

L’antimafia, l’ecologia e il rifiuto di accordi con aziende belliche sono tre capisaldi dell’università che avete individuato. Quale significato hanno per voi questi valori e in che modo le università dovrebbero incarnarli?
Stiamo effettivamente promuovendo un’università che rispetti l’ambiente. Non ci riferiamo esclusivamente alla sostenibilità ambientale. Pensiamo ovviamente anche all’ambiente sociale. Sportelli anti molestie, uno sportello psicologico che funzioni, un’università della cura effettiva. Per quanto riguarda gli accordi con le aziende belliche, non è normale che un’università venga finanziata da aziende che forniscono armi a Israele per compiere un genocidio in Palestina. Abbiamo portato questa istanza al Consiglio degli Studenti, una vertenza in cui si citavano tutti gli accordi con le aziende belliche attualmente in vigore presso l’università e della loro abolizione. Ci incuriosisce che le proposte di Link, nonostante siano state accettate all’unanimità, non vengano mai commentate. Gli accordi sono numerosi, ne abbiamo citati tanti, l’unico appunto arrivato riguarda un errore di battitura relativo a un accordo già interrotto. C’è indifferenza e non c’è alcuna consapevolezza rispetto a certi temi. Per quanto riguarda l’antimilitarismo, il dato più evidente che abbiamo alla mano è che, dall’anno scorso, sono stati tagliati circa 170 milioni di euro – e si stima che entro il 2027 questa cifra salirà a 700 milioni. Questo continuo definanziamento rende sempre più strutturale il precariato e, allo stesso tempo, spinge l’università a diventare dipendente da realtà come multinazionali, lobby e grandi industrie. E questo inevitabilmente ha un impatto sulla didattica e sulla ricerca. Molte scoperte o sviluppi tecnologici e scientifici che sembrano neutri, in realtà hanno un uso sia civile che militare. E spesso queste sfumature sfuggono anche agli organi che dovrebbero vigilare sull’etica della ricerca. Abbiamo citato accordi concreti, Leonardo ne è un esempio. A un certo punto, l’università deve prendere posizione: non può limitarsi ad accettare fondi in cambio del silenzio, come se il semplice fatto di riuscire a mantenere aperti i corsi o a sostenere la ricerca giustificasse tutto questo. Così facendo, stiamo togliendo alla ricerca la sua indipendenza. E stiamo spingendo sempre più persone a inserirsi direttamente nel mercato aziendale, quasi fosse l’unica strada. Anche dal punto di vista ecologico, questo tema si inserisce pienamente nella questione. Se da un lato diciamo di voler essere atenei CO₂ free entro il 2035, e dall’altro firmiamo accordi con aziende come ENI, c’è una contraddizione enorme, che non possiamo ignorare. Come affrontare tutto questo? Il primo passo è chiedere la cessazione di questi accordi. Il secondo è pretendere maggiori sovvenzioni pubbliche, in particolare attraverso i fondi di finanziamento ordinario, che costituiscono la base del finanziamento dell’università. Un altro passaggio è portare avanti progetti di monitoraggio dei rifiuti, ridurre il consumo di plastica, incentivare il verde sia dentro che fuori le strutture universitarie. Il cambiamento deve partire dall’interno per poi riflettersi all’esterno.

Chiedete “atenei liberi dalle forze dell’ordine”. Qual è ad oggi secondo voi la presenza delle forze dell’ordine nelle università?
Portiamo in questo caso la nostra esperienza personale. Ci sono stati eventi a cui noi siamo andat3, ma senza avere la possibilità di partecipare per la presenza delle forze dell’ordine. Eravamo lì prima di tutto a protestare, fino a prova contraria è possibile manifestare il proprio dissenso all’università. C’è stato un secondo evento a cui ci è stato del tutto impossibile entrare in aula anche semplicemente ad assistere, o porre domande. Non ci era possibile nemmeno utilizzare un bagno per evitare che potessimo entrare in aula causando problemi. Quali problemi potremmo effettivamente causare? Siamo student3 comuni, perché dovremmo avere difficoltà ad entrare in uno spazio, ascoltare, porre questioni. Siamo stat3 presenti lì per rivendicare il diritto di dire che non vogliamo il fascismo in università. Noi viviamo in ateneo ogni giorno, le problematiche del campus le avvertiamo noi nella nostra quotidianità. Non come quella figura politica,  Giovanni Donzelli in questo caso, presente in università una tantum.

Nel vostro programma elettorale denunciate l’intensificarsi nelle università di realtà neofasciste. In che modo secondo voi le università dovrebbero agire su questo?
Bisogna partire in primis da una cultura dell’antifascismo. In Italia, questa cosa non è mai stata realmente stigmatizzata a dovere. Pensiamo, ad esempio, a paesi come la Germania, dove c’è un vero e proprio terrore anche solo nel pronunciare certe parole. Qui, invece, diventa quasi qualcosa di legittimato, anche attraverso l’espediente della commemorazione storica. Finché le istituzioni continueranno a normalizzare certe posizioni, anche indirettamente, il discorso non potrà mai dirsi chiuso. Perché il fascismo non è solo una parentesi storica: è anche repressione, è limitazione del pensiero libero. Qualsiasi forma di repressione è, di fatto, fascismo. Purtroppo, finché si continuerà a dare spazio e voce a certe correnti – anche attraverso quel performativismo di cui parlavamo prima, o attraverso l’imposizione di certe dinamiche dentro l’università – non riusciremo mai a scrollarci di dosso questa mentalità. Succede addirittura che venga più stigmatizzatə chi è antifascista di chi il fascismo lo porta avanti. I fatti di cui abbiamo parlato in precedenza lo dimostrano. Parlare di revisionismo storico, parlare di persone morte all’interno del FUAN di Salerno – il nome da cui loro prendono ispirazione, identificandosi con quella realtà – significa parlare apertamente di un’associazione fascista. Quello che è stato fatto in passato è stato disumano. Ed è disumano parlarne oggi in chiave positiva. Non si tratta di libertà di opinione, di slogan come “libertà di cambiare”. Cambiare cosa, esattamente? Se poi siete i primi a praticare repressione? La repressione è una forma di fascismo. E all’università c’è fascismo. Tacito, silenzioso, ma c’è. Il silenzio è subdolo. La violenza silenziosa, quella che viviamo ogni giorno, è la più difficile da contrastare.

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